Nel dicembre 2014, una normativa europea (Regolamento UE n.1169/2011) ha costretto le aziende di prodotti dolciari e da forno a dichiarare esplicitamente la presenza dell’olio di palma in etichetta. Molte persone hanno così scoperto l’esistenza di questo ingrediente tenuto abilmente nascosto dalle aziende per anni. La reazione di molti consumatori è stata di non comprare più i prodotti preparati con il grasso tropicale, grazie anche alla campagna promossa da Il Fatto Alimentare e Dario Dongo (Great Italian Food Trade) contro l’invasione dell’olio di palma.

Di fronte alla crescente sensibilità dei consumatori, le aziende e le catene di supermercati più attente hanno deciso di eliminare l'olio di palma dai loro prodotti, altre lo hanno ridotto. Diverso è stato l’atteggiamento di marchi famosi che, attraverso l’associazione di categoria Aidepi, provano a contrastare il movimento contro l’invasione dell'olio di palma che molti esperti di web considerano “virale”.
Nel mese di maggio 2015 l’associazione di categoria Aidepi comincia a reagire e investe 55 mila euro per convincere i direttori di quotidiani, riviste e blogger che l’olio è buono, fa bene alla salute e rispetta l’ambiente. Dopo avere constatato il fallimento dell’iniziativa e il permanere di un atteggiamento critico da parte dei consumatori, alla fine di agosto Aidepi pubblica sui principali quotidiani nazionali e locali come Il Corriere della sera, La Stampa, Il Resto del Carlino, Il secolo XIX, la Sicilia, La Nazione, ecc., decine di pagine a colori vantando le qualità dell’olio di palma. [Aidepi: Opuscolo Olio di Palma]
Per capire quanto sia ambiguo il testo pubblicitario basta dire che la frase sull’origine “naturale” è fuorviante in quanto l’olio utilizzato nei dolci e nei prodotti da forno spesso viene estratto dal frutto con solventi, decolorato, deodorato e deacidificato. Anche il paragone con il burro è fasullo perché si ignorano fattori importantissimi relativi alla diversa composizione evidenziati dall’Agenzia per la sicurezza alimentare francese e dal Consiglio Superiore della Sanità del Belgio. Le due agenzie distinguono i differenti acidi grassi saturi in relazione all’impatto sul metabolismo lipidico e sulla salute e correlano la quantità di acido palmitico (presente in misura pari al 40% nel palma e al 21% nel burro) all’incremento del colesterolo cattivo LDL. C’è di più: il burro è anche ricco di acidi grassi saturi a corta e media catena e di acido stearico che le due agenzie ritengono non avere effetti negativi sull’organismo. Per questi motivi il burro, pur avendo la stessa quantità di acidi grassi saturi, è meno invasivo.

Oltre che per la nostra salute, l’olio di palma rappresenta un rischio per il pianeta. Malesia e Indonesia, che forniscono il 90% di questo olio sul mercato, hanno tagliato la gran parte delle loro foreste per favorire l’industria del legname e lasciare spazio alle piantagioni di palma. Ne è derivata una crisi ambientale che ha ridotto la biodiversità in modo drastico, portando a rischio di estinzione, in particolare nell’isola di Sumatra (Indonesia), 80 specie endemiche tra le quali tigri, elefanti e oranghi per la distruzione del loro habitat. Non solo. Secondo Greenpeace, la deforestazione e poi gli incendi conseguenti causano ogni anno il rilascio nell’atmosfera di circa 1,8 miliardi di tonnellate di CO2: soprattutto a causa della produzione di olio di palma, l’Indonesia è il terzo Paese al mondo per emissioni di gas serra, dopo Stati Uniti e Cina.

Olio di palma: rispetta l'ambiente?
Nirbhay
Fonti:
- Corriere della Sera
- Altroconsumo
- Il Fatto Alimentare
- Altroconsumo
- Il Fatto Alimentare
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